NOTE BIOGRAFICHE

Sono nato a Lecco nel 1948 da padre siciliano e madre emiliana.

Mio padre apparteneva a una famiglia di commercianti di zolfo di Porto Empedocle, in rapporti d'affari con i Fiocchi di Lecco, a cui fornivano lo zolfo per la fabbricazione della polvere da sparo. Proprio per questi rapporti d'affari mio nonno conobbe e sposò una nipote di quel Giulio Fiocchi che aveva fondato la ditta.
Dopo alcuni anni di discreta agiatezza, la famiglia ebbe un tracollo a causa della crisi dello zolfo. Mio padre decise di dedicarsi alla carriera militare e partì giovanissimo per Milano, verso il 1925, per non essere di peso alla famiglia. Poco dopo essere stato ammesso all'Accademia Militare come allievo ufficiale, fu colpito da tubercolosi e fu ricoverato in sanatorio. Guarì, ma dovette rinunciare alla carriera e cercare un altro lavoro per mantenersi e per aiutare sua mamma, che nel frattempo, morto mio nonno, era tornata a Milano.
Mia madre appartiene a una famiglia di contadini della bassa emiliana, fra Bologna e Ferrara, giunti a Lecco sulla fine degli Anni Venti. Prima di arrivare a Lecco, mio nonno aveva tentato inutilmente la fortuna in Francia, dove peraltro erano rimasti alcuni suoi fratelli e sorelle. Anche mia nonna materna rimase vedova molto presto e per diversi anni lavorò come una qualsiasi operaia in quella ditta Fiocchi che apparteneva ai cugini di suo genero, senza mai chiedere né ricevere particolari favori.

Ho frequentato le scuole elementari "Edmondo De Amicis" di Lecco, poi, sempre a Lecco, le scuole medie "Tommaso Grossi" e il liceo scientifico "Giovanni Battista Grassi". Ho saltato l'ultimo anno di liceo per frequentare un anno di "high school" negli Stati Uniti con una borsa di studio dell'American Field Service. Al ritorno, superati gli esami di maturità a settembre del 1967, mi sono iscritto all'Università degli Studi di Milano. Dopo due mesi alla facoltà di Scienze, sono passato alla facoltà di Medicina e Chirurgia, in cui sono rimasto fino alla laurea, ottenuta l'11 giugno 1973 con una tesi di endocrinologia ginecologica, relatore il prof. Piergiorgio Crosignani. Con il prof. Crosignani avevo lavorato per i due anni precedenti la laurea e avrei poi lavorato anche per i tre anni seguenti. Oltre al prof. Crosignani, fra i professori il cui insegnamento o il cui esempio hanno contribuito alla mia formazione ricordo in particolare il prof. Giulio Maccacaro (statistica medica), il prof. Ettore Caracciolo (psicologia), il prof. Nicola Dioguardi (patologia medica), e il prof. Luigi  Gallone (patologia chirurgica). Nel campo più specifico della ginecologia ho un debito soprattutto con due professori del Queen Charlotte's Maternity Hospital di Londra, Sir John Dewhurst e (per quanto riguarda l'ultrasonografia) il prof. Stuart Campbell. Dopo la laurea, ho conseguito tre specializzazioni, tutte presso l'Università di Milano: la prima in Ostetricia e Ginecologia con il prof. Giovanni Battista Candiani, la seconda in Idrologia, Climatologia e Talassoterapia con il prof. Roberto Gualtierotti, e la terza in Igiene e Medicina Preventiva con il prof. Gaetano M. Fara.

Durante i primi anni del liceo entrai nel Service Civil International, un'associazione fondata dal pacifista svizzero Pierre Ceresole, e partecipai ad alcuni campi di lavoro in Svizzera, Scozia e Inghilterra, venendo in contatto con i primi germi di quello che sarebbe stato il Movimento del 1968. Arrivato il 1968, presi parte alle prime iniziative di "contestazione" studentesca (fui anche tra coloro che occuparono l'Istituto di Fisiologia, da cui ebbe inizio l'occupazione della Facoltà di Medicina dell'Università di Milano). Presto però dovetti ricredermi, e diedi ragione a Pier Paolo Pasolini, che, in una poesia di "Pagine Corsare", aveva scritto: "Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri". Da allora sono sempre rimasto fuori dagli schemi, anche se mi è capitato di schierarmi occasionalmente da una parte o dall'altra per obbedire al mio impulso morale di dare un contributo allo sviluppo civile del mondo in cui vivo. Diceva Sir Robert Paden-Powell:  "Try and leave this world a little better than you found it (Cerca di lasciare questo mondo un po' migliore di come l'hai trovato)". Non ho comunque una collocazione politica o filosofica precisa. Tra i pensatori i cui scritti mi hanno in qualche modo influenzato, oltre ai citati Pierre Ceresole e Robert Baden-Powell, potrei menzionare Bertrand Russell, don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari, Alfred Jules Ayer, Aldous Huxley, e gli economisti Henry George e Thorstein Veblen. Ad Ayer ed al suo "Linguaggio, verità e logica" devo soprattutto il mio atteggiamento critico nei confronti di quanto viene con troppa faciloneria contrabbandato come "verità", anche e soprattutto nel campo della medicina e della ricerca medica. Questo mio atteggiamento deve anche qualcosa all'insegnamento e alla benevolenza dimostratami dal dr. Ian Munro che, all'epoca in cui era direttore della rivista medica inglese The Lancet, ospitò e a volte commissionò miei interventi critici nei confronti della medicina accademica.

Pur rimanendo in qualche modo legato alle filosofie pacifiste, col tempo mi sono allontanato dalle posizioni intransigenti dei gruppi più attivi. Nel 1976 accettai il richiamo per il servizio militare obbligatorio, che svolsi in gran parte nelle valli del Friuli colpite dal terremoto. Se da una parte non volevo dispiacere a mio padre, con un rifiuto di vestire l'uniforme che mi avrebbe condotto inevitabilmente al carcere (a quell'epoca l'obiezione di coscienza non era ammessa), dall'altra avevo cominciato a giudicare troppo velleitaria la posizione dei pacifisti a oltranza e troppo elitaria quella degli antimilitaristi che rifiutavano un servizio in cui, stringi stringi, vedevano un'umiliazione. Se i "figli del popolo" servivano lo Stato dicendo "signorsì" a caporali ignoranti, consumando pasta scotta in piatti unti, e marciando sotto il sole e la pioggia, non ritenevo morale per me fare diversamente. Già anni prima, del resto, quando mi trovavo negli Stati Uniti, la lettura di un libro di Stephen Crane, The Red Badge of Courage (Il segno rosso del coraggio) e l'incontro con la figlia di un militare di carriera che si trovava in Vietnam avevano incrinato le mie convinzioni e mi avevano portato a un compromesso col mondo militare. Oggi sono un ufficiale medico del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, iscritto all'Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d'Italia, e qualche anno fa ho lavorato per breve tempo nella Commissione Medica del Distretto Militare di Milano.

Non ho scelto subito di fare il medico. Da ragazzo avrei voluto fare il chimico (sindrome da "piccolo chimico"?) ma, giunto al momento di iscrivermi all'università, optai per Geologia. Volevo girare il mondo. A Geologia rimasi due mesi. A farmi cambiare idea non furono considerazioni molto profonde ma, banalmente, un film (Il dottor Zivago), e in particolare le scene in cui Omar Sharif guarda dei microbi al microscopio. Le aule classicheggianti e polverose della Statale di Milano a Città Studi, costruite negli Anni Venti-Trenta del Novecento, erano ancora molto simili a quelle del film, e la Milano invernale sul finire degli Anni Sessanta aveva ancora qualche tenue somiglianza con la Mosca degli Anni Dieci. Ne fui affascinato, e confermato nella mia nuova scelta. Anche il clima di rivolta che si respirava in quegli anni con la "contestazione" del '68 ricordava un po' il fermento politico che aveva portato in Russia alla Rivoluzione d'Ottobre. E naturalmente non mancai di frequentare come interno l'Istituto di Microbiologia... Ma ovviamente la realtà era diversa e poco per volta dimenticai l'idea di diventare un medico a tutto campo come il dottor Zivago, e venni attirato dalla ricerca. Un giorno, giunto ormai al quinto anno, recandomi a mangiare alla mensa dell'Istituto di Ginecologia (girare da una mensa all'altra, alla ricerca di quella che offriva di più a meno era un specie di sport studentesco), passai accanto ad una porta con una targhetta che diceva "Laboratorio di Endocrinologia Ginecologica del C.N.R." (Centro Nazionale delle Ricerche). Non ebbi il coraggio di bussare la prima volta, ma dopo qualche giorno provai. Conobbi così il prof. Piergiorgio Crosignani e la sua equipe, con cui avrei lavorato per alcuni anni, e fu naturale che, dopo la laurea scegliessi la ginecologia come specialità. Non fu una scelta definitiva, perchè per qualche tempo, dopo il servizio militare e l'esperienza di medicina generale fatta in Friuli, tornai alla vecchia idea di medico alla dottor Zivago e accettai il posto di medico condotto a Mandello del Lario e Abbadia Lariana. Ma erano gli ultimi anni delle condotte mediche: la riforma sanitaria le avrebbe abolite poco dopo, e giustamente, dato che la medicina e la gente non erano più le stesse di quando le condotte erano nate. La medicina generale sarebbe diventata semplice burocrazia, e i medici di famiglia semplici giullari utilizzati dal Servizio Sanitario Nazionale per tener buoni i cittadini. Tornai quindi alla ginecologia, ma con l'impegno di portare in questa specialità lo spirito della vecchia medicina generale, vivendola quindi non come medicina dell'apparato genitale femminile, ma come medicina della donna.

I parecchi anni di esperienza in questo tipo di ginecologia, aperto non solo ai problemi organici ma anche a quelli psicologici delle mie pazienti, hanno fatto ulteriormente mutare il mio atteggiamento verso la società. Dopo la "contestazione" dei vent'anni ero arrivato a una più matura accettazione, anche se mai a una piena approvazione, della struttura e delle regole della società, ma il tentativo quotidiano di capire i motivi del disadattamento e dell'infelicità esistenziale di molte, troppe, pazienti, tentativo necessario per poter immaginare una cura, mi ha riportato a non condividere gran parte di quella struttura e di quelle regole, che erano state ottime fra Ottocento e Novecento ma si erano rivelate del tutto inadeguate alle nuove esigenze sorte con i cambiamenti degli ultimi quaranta-cinquant'anni. Man mano che le infelicità e gli sconquassi provocati dal persistere di modelli sociali e morali obsoleti diventavano evidenti in un sempre maggior numero delle mie pazienti, quella che era una semplice presa di distanze nei confronti di quei modelli ha ceduto il posto a una rabbia sorda verso l'inerzia morale e la pigrizia mentale di una società esteriormente libera o addirittura libertina ma fondamentalmente ipocrita.  Attualmente ammiro molto il lavoro dello zoologo ed etologo inglese Desmond Morris (http://www.desmond-morris.com).

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